Chris Burden è un artista statunitense famoso per le sue performances cruente e provocatorie, al limite della resistenza umana. Nato nel 1946 a Boston, ebbe tra i suoi insegnanti anche Robert Irwin, che lo avvicinò al concetto di ‘installazioni artistiche ‘, focalizzate principalmente sui sensi e le percezioni.
In un mondo che tende ad anestetizzare il pubblico, rendendolo spettatore passivo, le imprese di Burden riportano violentemente in vita tutte le emozioni, analizzandone le conseguenti implicazioni psicologiche, spesso terrificanti, legate alla consapevolezza del corpo ed alla sua fragilità.
E’ con questi principi che nei primi anni ’70 l’artista, poco più che ventenne, comincia la sua carriera; è un periodo confuso, c’è la guerra nel Vietnam, Jim Morrison è morto da poco, ci sono i figli dei fiori e le rivoluzioni pacifiste, i media raccontano tutto con brutale parzialità, rendendo i propri spettatori utenti passivi ed immobili. Burden rifiuta tutto questo e costringe il pubblico a risvegliarsi dalla catarsi, a pensare che i proiettili che si vedono sugli schermi sono veri, che le ferite sanguinanti sono dolorose.
La sua performance più clamorosa di quegli anni è infatti ‘Shoot ‘, del 1971, per la quale convince un amico a sparargli addosso con un fucile calibro 22 da appena cinque metri. L’azione viene ripresa in un video, ma l’inesperienza del cameraman e l’inadeguatezza dei mezzi non rendono bene ciò che realmente succede, è l’ennesima prova che lo schermo filtra le situazioni, addomesticandole.
Il ragazzo ha paura, la sua vittima ancora di più. Burden ha lo sguardo allucinato, la tensione è altissima, chiede all’amico se ha capito bene cosa deve fare, basta un tremore, un piccolo errore, e finirà in tragedia. Tutto si risolve in un attimo, l’artista ne esce con una ferita al braccio; anni dopo in un’intervista dichiara: ‘ Penso che molta gente abbia mal compreso , credevano che avessi fatto questo lavoro per amore di sensazionalismo o per provare ad attirare l’attenzione. […] Era per vedere come reagivo mentalmente: era sapere che alle sette e mezza sarei andato a fare un’azione in cui qualcuno mi avrebbe sparato addosso .era come poter organizzare il destino o qualche cosa del genere , in una maniera controllata. L’aspetto violento non era molto importante , era, in fondo, il modo per poter sperimentare queste riflessioni ‘.
Ma è solo l’inizio, nel 1974 si fa letteralmente crocifiggere nel garage di un’abitazione in California, su una Volkswagen Beetle, il famoso maggiolino, con dei chiodi infissi nelle mani a martellate. L’auto viene poi fatta uscire dal garage ed esposta al pubblico con il motore su di giri per circa due minuti, durante i quali le vibrazioni causano forti dolori alle stigmate del ragazzo.
Da allora è tutto un susseguirsi di esplorazioni e provocazioni, come in ‘You’ll never see my face in Kansas City ‘, che lo vede seduto, immobile, per tre ore, davanti ad un pannello che nasconde agli spettatori la testa. La performance prosegue nel corso del soggiorno nella cittadina americana; Burden, infatti, gira indossando un passamontagna che lo nasconde ininterrottamente alla curiosità crescente degli abitanti.
La sua arte ha provocato, come era nelle intenzioni originali, reazioni di ogni tipo ed ha ispirato numerosi artisti, tra i quali David Bowie, che lo cita in ‘Joe the lion ‘ e Laurie Anderson in ‘It’s Not the Bullet that Kills You – It’s the Hole (for Chris Burden)‘.
(M.G)
il video di ‘Shoot‘: