
Dietland – Fanmade poster by Massimiliano Gatti
C’era una volta una giovane e bellissima donna newyorkese, promettente giornalista di moda, che trascorreva le sue giornate dribblando le avances dei maschietti della città e commentandone le performances con le amiche fra un aperitivo e un vernissage. No, non vi voglio parlare di Sex & the City, ma invitarvi ad immaginare una storia che sia il suo totale opposto, con una protagonista tutt’altro che avvenente, almeno per gli standard comuni, la cui vita è un completo sfacelo, distrutta dai pregiudizi e da un maschilismo imperante, meno plateale ma più crudele rispetto ai decenni passati.
Se più di qualcuno ha definito Carry & co. come le paladine del femminismo del nuovo millennio, forse dovrebbe dare un’occhiata a questa serie tv, se non altro per rivalutare l’attuale posizione della donna nella società contemporanea, tutt’altro che rosea a dispetto dell’immagine che quella serie televisiva (ed altre con essa) voleva promulgare, e rivederne il concetto stesso di libertà.
L’aspetto estetico, si sa, è il principio chiave del nuovo millennio e la categoria maggiormente ossessionata sembra essere ancora una volta quella femminile. In apparenza emancipate, indipendenti e padrone di sé, se però si scava non troppo a fondo si scopre nelle donne di oggi la crepa della schiavitù nella sua forma più pericolosa: quella psicologica. Non vogliamo accettarlo o darlo a vedere, ma il nostro mondo ruota intorno all’apprezzamento degli altri, dei maschi in particolare. Fortunatamente esistono rimedi contro tutto ciò che contrasta con i canoni sociali: la ciccia? Si risolve con le diete, l’attività fisica, nel più estremo dei casi col bisturi. La bruttezza? Con strati e strati di costoso trucco e creme miracolose la cui efficacia viene puntualmente smentita per poter commercializzare nuovi e più miracolosi prodotti. L’affermazione di sé si ottiene con qualche compromesso ai limiti della legalità, imposto perlopiù dalla componente maschile (ma non solo) del contesto lavorativo. Insomma, non è un bel periodo storico per il genere femminile, e Dietland non fa che scoperchiare un vaso di Pandora che ognuna di noi si porta dentro almeno dai tempi del liceo, e lo fa anche in maniera cruenta, per questo efficace. Ci obbliga a non coprire gli occhi dinanzi alla brutalità, dando uno scossone alla nostra consapevolezza.
In fondo siamo tutte un po’ Plum (in italiano ‘Prugna‘), la protagonista della serie (interpretata da Joy Nash), visibilmente fuori forma e ben lontana dall’accettare se stessa. E, se in un primo momento ciò che ci accomuna a lei è una scontentezza ormai patologica, alla fine ci scopriamo combattenti in grado di cambiare le sorti del nostro destino, o almeno ci proviamo. Ma veniamo alla serie.
Basata sull’omonimo romanzo di Sarai Walker, prodotta da AMC e cancellata alla prima stagione, “Dietland” si compone di 10 puntate in cui si narrano le vicende della già citata Plum, giovane donna che lavora come ghost writer per una rivista femminile e che, distrutta da anni di crudeltà gratuita dovuta alla sua circonferenza vita, decide di sottoporsi ad un’operazione di bendaggio gastrico che, con non poche sofferenze, la condurrà verso il suo sogno di indossare il vestito rosso taglia 40 che l’attende trepidante nell’armadio. La sua nemesi è Kitty Montgomery (Julianna Margulies), scheletrica ed avvenente direttrice della rivista per cui lavora Plum e che sembra essersi imposta con prepotenza in un mondo, quello editoriale, tipicamente maschile. Come ci sia riuscita, lo scopriremo nel corso delle puntate.
Sullo sfondo, un’America che si scontra con l’ennesima minaccia terroristica, stavolta tutta al femminile, che lancia dai tetti uomini rei di aver stuprato e torturato ragazze anche minorenni e che si fa chiamare semplicemente “Jennifer“. Nel frattempo, durante il suo percorso verso la magrezza, la ragazza si imbatte in una sorta di comunità che predica l’emancipazione femminile con metodi poco ortodossi, ma apparentemente innocui, sebbene fin dalla prima puntata si insinui il dubbio che possa esserci un filo conduttore tra la fazione moderata e quella più radicale.
Tanti personaggi accompagneranno Plum nel suo viaggio verso la consapevolezza di sé e del suo valore: alcuni li odieremo, altri li ameremo, ma di sicuro ci rimarranno impressi perché reali, non distorti da una trama immaginaria, e quindi in qualche modo più simili a noi.
C’è tanta carne al fuoco che ai più è risultata confusionaria (provocando forse la cancellazione della serie), ma Dietland merita di essere vista se non altro per le tematiche che affronta. E, una volta vista, scopriremo che anche il modo in cui queste tematiche vengono trattate è accattivante, perché non facilmente riconducibile ad una sola categoria: non è drammatica, ma nemmeno comica, perché lo è entrambe. E’ surreale e visionaria, grazie ai monologhi interiori della nostra eroina popolati dal suo alter ego animato, ma anche profonda. E’ sicuramente cruenta, ma mai splatter.
E’ errato considerare questo prodotto come una serie di donne per donne, per quanto sia innegabile che la tematica trattata possa incuriosire di più il genere femminile. Ma il modo in cui viene trattata, spogliandola del solito moralismo edulcorato, non passa inosservato al grande pubblico. Le donne sono i nuovi uomini, e non è un caso che la protagonista stessa ed uno dei personaggi chiave della serie indossino spesso una t-shirt con la copertina del libro cult di Chuck Palaniuk “Fight Club“, che i più conosceranno per la trasposizione cinematografica con Edward Norton, Brad Pitt e Helena Bonham-Carter. La violenza, retaggio prettamente maschile, diventa l’inevitabile conseguenza di secoli di oppressione, ma soprattutto la legge del taglione delle donne vittime di abusi e stupri. E, in quanto tale, palesa la sua stessa inutilità, perché la presa di coscienza di sé deve e può passare per altri canali, soprattutto se vuole essere duratura.
Dietland è una serie che impone un’auto-analisi, ma soprattutto scatena domande di cui si pretendono risposte. Come fa ogni prodotto culturale degno di nota.