“Come donna non mi sono mai accontentata di giocare con le bambole o fare solo la cheerleader. Sì, mi piaceva giocare con le bambole od indossare bei vestiti, ma mi divertivo anche ad arrampicarmi sugli alberi e a fare sport. Dopo la mia esperienza a Boston, capii che vi erano milioni di donne al mondo che erano cresciute senza credere di poter superare i limiti a loro imposti. Volevo fare qualcosa per migliorare le loro vite. Ciò di cui abbiamo bisogno è il coraggio di credere in noi stesse ed andare avanti passo dopo passo.”
Quella di Kathrine Virginia “Kathy” Switzer è una cultstory che sa di rivalsa. È il punto di non ritorno nel rapporto donne-sport, dimostrando che dietro al pregiudizio e al maschilismo più bieco, c’è l’incapacità tutta femminile di credere in sé stesse. Grazie al suo esempio e al coraggio di non farsi intimidire, Kathy ha voluto imporre il suo autentico amore per lo sport sulle restrittive convenzioni sociali, così fortemente stratificate nella società americana post-bellica.
Fin dall’età di dodici anni, Kathrine manifestò una notevole inclinazione per l’attività fisica e soprattutto per la corsa: correva ogni giorno per almeno 5 km, a dispetto di qualsiasi condizione climatica, dal nevischio al sole cocente. Forse oggigiorno la sua può sembrare un’impresa poco eclatante, ma per la fine degli anni ’50, periodo in cui le donne potevano uscire di casa solo in certi orari e, spesso, in compagnia maschile, allora l’impresa assume un significato più marcato. I suoi genitori, sfidando la morale comune, la incitarono ad aderire alla squadra di hockey sul prato, disciplina che avrebbe praticato fino all’università. Tuttavia, già durante il college, la ragazza cominciò a scontrarsi con i primi problemi legati al suo essere donna. La passione per la corsa non sfuggì al coach della squadra maschile, che in quel periodo era alla ricerca di un ultimo elemento affinché il suo team potesse partecipare ad un importante torneo. Incredula, la ragazza non se lo fece ripetere due volte. Ovviamente, il resto della squadra era composto di soli uomini, e poi, che offesa coinvolgere una donna in un’attività agonistica, da sempre ostentazione della forza maschile! L’escalation di minacce e derisioni da parte di compagni ed insegnanti portò così Kathy ad allontanarsi dallo sport praticato per accostarsi alla teoria tramite il giornalismo sportivo.
Nel 1967, Kathrine conobbe Arnie Briggs, il postino dell’Università, che le aprì il mondo della celebre Boston Marathon. Nonostante la manifestazione fosse preclusa alle donne, in quanto considerata fisicamente troppo ardua, la giovane espresse ad Arnie il desiderio di potersi iscrivere. Non fu facile convincere l’amico: un conto era riuscire a percorrere quotidianamente dalle 6 alle 10 miglia, un altro era raggiungerne le 26, così come previsto dal regolamento. Kathy gli dimostrò che, se c’era qualcuno meritevole di gareggiare, quello era proprio lei. Riuscì con non poca fatica a raggiungere la meta e non contenta aggiunse al suo percorso altre 5 miglia per dimostrare le sue capacità: in tutto, percorse quasi 50 km in una sola notte.
Il giorno della gara finalmente arrivò. La ragazza si era iscritta inserendo le sole iniziali, ma, già durante i preparativi, molti dei suoi avversari si accorsero che quel tipo esile dalla folta chioma era una donna. Sorprendentemente, accolsero la novità come una bella sfida, degna di stima ed appoggio. Oltre a Kathy ed Arnie, si iscrisse alla gara anche il fidanzato di lei, Tom Miller, che praticava il lancio del martello. Tutto era pronto: la ragazza era ad un passo dall’esaudire il suo sogno. La maratona procedeva bene, intorno alla giovane si era creato un piccolo gruppo di corridori quasi a volerla proteggere dai media e dai curiosi, ma non passò molto tempo prima che si alzasse un urlo dalla platea: “guardate, c’è una donna!”. L’urlo divento un coro, e così, per accertarsi della situazione, il direttore della gara, Jock Semple, noto per il suo temperamento impetuoso, raggiunse il gruppetto di podisti a bordo del furgone della tv locale che commentava l’evento. L’uomo scese dalla vettura e si diresse dritto verso Kathy, strattonandola per un braccio affinché lasciasse libero il passaggio ai veri maratoneti. Il suo sogno non poteva finire in quel modo, perciò, con sguardo fiero e passo deciso, Kathrine continuò la sua corsa, noncurante delle spinte di Semple. Tuttavia, ci pensarono i suoi compagni, Arnie e Tom, ad allontanare l’uomo da lei e far sì che la storia si compisse.

Uno dei momenti più salienti della storica maratona di Kathrine: l’uomo alle sue spalle intento ad afferrarla è Jock Semple; affianco alla ragazza c’è Arnie Briggs, mentre cerca di difenderla dal direttore della gara.
Quel giorno Kathy raggiunse il podio con un tempo di 4:20:00. Successivamente partecipò alla Boston Marathon per ben 8 volte, fino al 1974, anno in cui vinse con 2:51; ma il suo traguardo più importante fu un altro: incoraggiò le giovani americane ad avvicinarsi al mondo dello sport senza remore, dimostrando che la forza di volontà può imporsi su qualsiasi limite fisico, ma soprattutto su ogni tabù.
(A.C.)