“Quando cerchi sinceramente l’amore, lo trovi che ti sta aspettando.” (De Profundis)
Da leggere ascoltando: Antony and the Johnsons, ‘Knocking on Heaven’s door’.
Nell’epoca in cui visse il celebre scrittore Oscar Wilde (seconda metà dell’800) non era raro, nell’ambiente altoborghese a cui apparteneva, avere una vita extraconiugale omosessuale, sebbene il buon costume osteggiasse in tutti i modi questo tipo di unioni. Anch’egli, sposato e padre di due figli, era incline a queste tendenze e non fece mai nulla per nasconderlo. I problemi nacquero quando lo scrittore si innamorò, ricambiato, del figlio di un Lord, Alfred “Bosie” Douglas. Il padre del giovane, marchese di Quuensberry, insultò pubblicamente Wilde come sodomita e, grazie alla sua posizione, lo coinvolse in un processo per gross indecency (“grave immoralità “, eufemismo per indicare l’omosessualità, che era illegale). Il processo si concluse con la condanna di Wilde a due anni di lavori forzati, la bancarotta e la rovina definitiva della sua carriera. La vera colpa di Wilde fu quella di aver permesso al giovane amante di averlo utilizzato come pedina nella guerra contro il padre.
Durante la reclusione, prima nella prigione di Wandsworth, a Londra, e poi al Reading Gaol, lo scrittore produsse una lunga, sincera e struggente lettera destinata a Douglas (che dichiarò di non averla mai ricevuta), pubblicata postuma col titolo “De Profundis “. È una amara considerazione sulle grandi differenze fra i due (il giovane non era particolarmente interessato alla letteratura e le arti in generale, quanto ai divertimenti e alla bella vita), ma prevale la convinzione dell’amore profondo che li univa e che permetteva allo scrittore di superare le avversità della sua condizione, aggravata dall’abbandono dell’amato durante gli anni della prigionia.
Scontata la pena, Wilde e Bosie si riavvicinarono e vissero insieme per qualche tempo a Napoli, ma la contrarietà delle rispettive famiglie li costrinse a dirsi definitivamente addio. (A.C.)
Oscar Wilde incontra Bosie. Da ‘Wilde’, 1997:
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