“Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci“.
Pier Paolo Pasolini amava il calcio con enorme devozione, ne intravedeva la purezza di un gioco pulito, non corrotto, nato per unire, per divertire. Quella purezza che il sistema calcistico odierno, quello dei grandi club e le competizioni internazionali, ha definitivamente inquinato. Il calcio non era per l’intellettuale un semplice hobby, ma una vera e propria fede: in particolare, ‘venerava’ il Bologna, la squadra della sua città. Se possibile, la domenica la trascorreva allo stadio. Non era tuttavia un semplice tifoso; benché non si potesse definire un professionista, coloro che hanno condiviso con lui il pallone lo consideravano ‘uno bravo ’. E così poteva giocare anche ‘sei-sette ore di seguito, ininterrottamente ’, purché ci fosse una palla ed un cortile, o semplicemente una strada deserta, che si prestasse come campo improvvisato. La maggior parte del suo tempo libero era perciò dedicata all’ ‘arte’ del calcio e, anche quando non ne aveva, cercava di ritagliarsi un momento per tirare due calci. Attori e troupe che hanno lavorato con lui ricordano le sue pause dal set dedicate a questo sport: egli cercava di coinvolgere quanta più gente possibile per dar vita a vere e proprie appassionate partite.
Fra queste, ne emerge una in particolare, passata ai memoriali come la partita di ‘Centoventi contro Novecento’. Era il 1975, Mantova si preparava ad accogliere la primavera. Pasolini era impegnato sul set del suo ultimo film ‘Salò o le centoventi giornate di Sodoma ’, considerato da critica e pubblico come il più controverso e scioccante della sua filmografia. In quello stesso periodo, nella poco lontana Parma, si allestiva un altro set, quello di ‘Novecento ’, opera di Bernardo Bertolucci, che proprio grazie a Pasolini deve i suoi primi passi nel mondo della settima arte, in qualità di suo assistente alla regia.
Il 16 marzo, giorno del compleanno del cineasta parmense, entrambe le troupe interruppero le riprese per organizzare una partita di calcio, solennemente sancita dalla presenza dei due registi (nel caso di Pasolini la presenza era rigorosamente in campo, nel consueto ruolo di ala e con la fascia del capitano; Bertolucci invece, si limitò ad assistere dalla tribuna). La tensione tradiva un’aspettativa da finale di campionato: si mormora che dietro all’organizzazione dell’incontro ci fosse l’intenzione di riappacificare i due colleghi e vecchi amici, conseguentemente a critiche mal digerite da parte del più giovane dei due.
La squadra dei ‘Centoventi’, probabilmente indotta dal capitano, indossava maglie con i colori rosso-blu del Bologna; quella dei ‘Novecento’ invece, non si risparmiò in quanto a creatività. Fu la stessa costumista di Novecento, Gitte Magrini, a realizzare le casacche per la partita: ‘maglie viola copiativo con le cifre 900 in giallo verticale, calzettoni a strisce multicolori destinati a sviluppare, per il gioco di gambe, un effetto caleidoscopico (e psichedelico) tale da rendere difficile l’individuazione del pallone ai rivali’, per usare i termini dell’articolo apparso sulla Gazzetta di Parma di qualche giorno dopo.
Secondo fonti ufficiali, la partita fu vinta dai giocatori di Bertolucci per 5 a 2 (secondo il regista invece, il risultato era ben più eccezionale: 19 a 13). Che sia stato merito dei calzettoni psichedelici? Ad ogni modo, se son vere le fonti dietro al motivo che ha spinto a realizzare quell’incontro, è probabile che i due non si siano chiariti in quella circostanza, poiché Pasolini uscì stizzito dal campo a metà partita perché non coinvolto a dovere dai suoi giocatori più bravi.
Non riusciva a sdrammatizzare Pasolini, quando si trattava di calcio. Era per lui qualcosa di troppo importante per farsi una risata e lasciar correre. L’affronto della sconfitta, o il pittoresco espediente della costumista di Bertolucci, fu troppo. Ma da buon giocatore, questo diverbio poteva risolversi solo in un modo: con la rivincita.
(A.C.)