da leggere ascoltando: Enya, ‘Caribbean blue’
C’è un uomo dei nostri tempi che con le sue imprese coraggiose e l’incoscienza tipica dei sognatori, ha dato vita al mito di Icaro, riuscendo nell’impresa impossibile di librarsi in cielo come un uccello, grazie ad ‘ali ’ da lui stesso realizzate che gli hanno permesso di sfiorare il sole; ma, come l’eroe mitologico, pagandone le conseguenze a caro prezzo. Quest’uomo è Patrick de Gayardon, indiscusso fuoriclasse del paracadutismo ‘acrobatico ’, divenuto famoso negli anni ’90 grazie allo spot di una celebre marca di orologi, in cui, da un aereo in volo, spicca un salto verso l’infinito, regalandoci 30 secondi di pura adrenalina.
De Gayardon non era, come si può erroneamente pensare, uno spericolato; al contrario, ogni suo salto, per quanto pericoloso, era perfettamente calcolato. La sua passione per questo sport, maturata fin dall’adolescenza, lo ha spinto a migliorarsi di continuo e a non lasciare nulla al caso. Quest’atteggiamento ha fatto di lui un campione, permettendogli di vincere numerose competizioni mondiali nel paracadutismo – dallo skysurf al base jumping – per il quale è stato detentore del record mondiale di lancio senza respiratore ad ossigeno (12.700 metri). Tuttavia, una passione del genere, in cui gli imprevisti sono all’ordine del giorno, non lascia scampo neanche al più meticoloso degli uomini: a soli 38 anni infatti, de Gayardon perde la vita durante uno dei suoi voli, a causa di un equipaggiamento difettoso.
Il mondo dello sport estremo deve tanto a questo atleta, scomparso prematuramente ma non invano, visti i risultati e le innovazioni che ha apportato al paracadutismo, una fra tutte la tuta alare. Questa particolare divisa, usata soprattutto nel Base Jumping, ha come scopo quello di aumentare la superficie del corpo umano, unendo con delle estensioni di tessuto gli arti superiori ed inferiori, in modo da rallentare la caduta libera, frenandone la velocità fino a 70 km/h, rispetto ai 200 raggiunti da un uomo in planata orizzontale. Allungando i tempi di caduta, la ‘wingsuit ’ ha il pregio di aumentare la possibilità di schivare gli ostacoli. Ad ispirare lo sportivo nella progettazione della tuta non è stato, come si potrebbe facilmente ipotizzare, un uccello, ma un marsupiale, il Petaurus breviceps, il Petauro dello Zucchero, più comunemente conosciuto come scoiattolo volante. Quest’animaletto di provenienza indonesiana non spicca il volo, ma è capace di grandi salti e, soprattutto, di lunghe planate, grazie al ‘patagio ’, una membrana di pelle che si estende lungo le zampe anteriori e posteriori ingrandendo l’area corporea , frenando quindi la velocità naturale dovuta alla forza di gravità in caduta orizzontale.
La tuta alare si pone alla base di una tecnica diventata con gli anni una vera e propria disciplina, il Wisbase, la variante più audace del base jumping, che si avvale appunto di questa divisa per salti più rischiosi, come quelli a ridosso delle pareti rocciose.
De Gayardon ha gettato le basi per un nuovo modo di concepire il volo acrobatico, spingendone le potenzialità oltre il limite naturale e, cosa ancora più rilevante, senza l’ausilio di artifici meccanici od elettronici, avvalendosi semplicemente di un’idea suggeritagli dalla natura.
Del resto, il sogno, nonché la sfida più grande dell’uomo, è quello di spingersi oltre le proprie possibilità perché, come amava ripetere lo stesso de Gayardon, ‘I limiti esistono solo nella nostra testa ’.
(A.C.)
Di seguito il nostro video-tributo al grande campione: