Il ritratto di un simbolo di pace

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Margaret Bourke White, ‘Gandhi‘, 1946.

da leggere ascoltando: Giovanni Allevi, ‘Aria’

Sarebbe ovvio pensare che la famosissima fotografia di Margaret Bourke White abbia per protagonista l’iconico leader più importante del secolo appena trascorso. Il soggetto principale di questo scatto è in realtà l’attrezzo posto in primo piano, un consunto arcolaio utilizzato per districare le matasse di cotone; così comune nella terra natia del Mahatma da comparire come effigie nella bandiera indiana fino agli anni ’40 del secolo scorso.

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La versione della bandiera indiana prima dell’indipendenza dalla colonizzazione britannica.

Gandhi attribuiva un immenso valore morale al charkha (‘arcolaio’ in lingua hindi): “Il messaggio del charkha è molto più ampio della sua circonferenza. Il suo è un messaggio di semplicità, di servizio all’umanità: vivere in modo da non ferire gli altri, creando un indissolubile legame fra il ricco e il povero, fra capitale e lavoro. Poiché ogni giro della ruota fila pace, buona volontà e amore.”  In sostanza, questo strumento simboleggia la dignità e l’importanza che riveste l’artigianato in una società intenta ad evolversi, ma senza assoggettarsi completamente alle coercitive dinamiche industriali imposte  dalla colonizzazione britannica. Una vera e propria rivoluzione culturale di un popolo dedito al lavoro manuale e alla stanchezza fisica, che tempra corpo e spirito.

Gandhi legava l’uso dell’arcolaio anche ad una forma di meditazione che l’ha aiutato a superare gli anni della prigionia nel carcere di Yerwada: l’uso costante di quest’arnese era un modo per valorizzare il lento scandire di un tempo intimo, personale, impiegato per ritrovare sé stessi.

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Margaret Bourke White intenta ad imparare l’uso dell’arcolaio.

L’arcolaio è la chiave di volta nel rapporto instauratosi fra il capo spirituale indiano e la fotografa statunitense. Lei, Margaret Bourke White, è la donna dei primati: fu il primo fotografo straniero ad avere il permesso di scattare foto in URSS, testimoniando l’invasione nazista del ’41 (è suo il primo ritratto non ufficiale, nonché unico per molti anni, di Stalin), la prima corrispondente di guerra donna (dall’assedio di Mosca alla guerra in Corea, fino alle rivolte sudafricane) e la prima fotografa per il settimanale Life. Fu proprio questa rivista a commissionarle un ritratto di Gandhi, al fine di documentare il movimento dell’indipendenza indiana scoppiato nel 1946. Benché abituata a lavorare in contesti difficili o tesi, quella di immortalare il leader indiano fu per la Bourke White un’impresa estremamente intricata. Convincerlo a farsi ritrarre non fu facile: da buon capo spirituale, preferiva spendere le sue energie per la causa per cui lottava, e di cui era il simbolo, non di certo per ricalcare le scene mediatiche. Fu proprio lui a proporre alla reporter una condizione: si sarebbe fatto fotografare soltanto dopo che la donna avesse imparato ad usare l’arcolaio. La singolare richiesta fu accontentata: con non poche difficoltà la donna imparò a far girare la ruota di filatura pur di portare a casa il compito assegnatole. La realizzazione della fotografia si presentò più difficile del previsto: non erano ammesse luci troppo luminose e il clima umido dell’India non aiutava nell’impresa di rendere nitida l’immagine da ricavare. L’uso delle lampade a disposizione inficiò almeno due tentativi, ma la donna, consapevole dell’enorme occasione nelle sue mani, non si scoraggiò. Tutto ciò fu reso ancora più complicato dall’impossibilità di parlare con il diretto interessato, poiché per Gandhi quello era il giorno del silenzio, che lui ha religiosamente rispettato.

Il risultato che ne seguì è una delle poche fotografie che ritraggono il grande leader ideologico, forse la più rappresentativa, in cui vi è un piccolo, grande uomo seduto a gambe incrociate immerso nella lettura di un libro. Poco distante da lui un arcolaio, la rappresentazione materiale della sua lotta e dei suoi ideali: in fondo, il vero protagonista di quest’immagine.

(A.C.)

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Il dietro le quinte della sessione fotografica.

 

scritto da:

Annachiara Chezzi

Laureata in Scienze della Comunicazione e specializzata in Gestione delle Attività Turistiche e Culturali, è creatrice ed articolista di Cult Stories. La sua innata curiosità la spinge a non accontentarsi di nuotare in superficie e a voler approfondire gli argomenti che tratta.

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