Padre del Surrealismo, uomo egocentrico e visionario, uno dei più rappresentativi e stravaganti del secolo appena trascorso. Salvador Demenec Felip Jacint Dalì i Domènech si è servito dell’arte per esprimere la sua eccezionale natura.

Salvador Dalì, marchese di Pùbol
Fin dalla più tenera età, l‘artista dimostrò di possedere un carattere sopra le righe, forte e deciso nonostante un contesto familiare notoriamente poco tradizionale. Egli ereditò la visionarietà proprio dai genitori, instillandogli idee discutibili che hanno contribuito a plasmare la sua viva immaginazione e i personaggi che la popolavano. Una di queste idee, che mai l’abbandonò nel corso della sua vita, riguardava il fratello che il pittore non conobbe mai, del quale si convinse esserne la reincarnazione. Salvador fu chiamato così in onore, oltre che del padre, anche del primogenito, che morì di meningite precisamente nove mesi prima della sua nascita. Ciò portò i coniugi Dalì a credere che il nuovo nascituro non fosse altri che il figlio tornato dal mondo dei morti sotto un altro aspetto. Per questo avevano cura del nuovo nato in maniera quasi ossessiva, lo ricoprivano di attenzioni ed arrivarono ad assumere un’infermiera, Lucia, che lo accudiva anche quando non ce n’era un reale bisogno. La donna fu protagonista di alcuni dipinti, come ‘Lo svezzamento della nutrizione-arredamento ’, del 1934.
La famiglia, a cui si aggiunse presto una femminuccia, andava spesso al cimitero, abitudine questa che accresceva la convinzione del giovane di essere in realtà suo fratello e di possederne addirittura le memorie.
La maniacale attenzione da parte dei familiari nei suoi confronti fomentò fin dalla prima infanzia un carattere egocentrico e a volte borioso: “A 6 anni volevo fare il cuoco. A 7 volevo essere Napoleone. Da allora la mia ambizione non ha smesso di crescere, come le mie follie di grandezza. ” Forse è per questo che fra i suoi passatempi preferiti c’era anche quello di girare per casa con il costume da imperatore.

‘Il volto della guerra’ (1940)
Dalì ostentava una sicurezza che celava in verità un forte stress dovuto al vivere una doppia vita. Era ossessionato dall’idea dell’invecchiamento e la putrefazione dei corpi. Nelle sue opere venivano spesso rappresentati corpi umani ed animali, perlopiù insetti, frammentati o in decomposizione. Un insetto in particolare lo disturbava più di tutti: il grillo, che l’artista associava all’orrore e alla repulsione. Questa sua fobia non era estranea ai compagni di classe che, per provocare e sottomettere quello strano bambino, gli lanciavano addosso animaletti morti.
In diversi suoi scritti, il pittore riconobbe che l’ombra del fratello fu una costante nella sua vita privata e professionale; di lui infatti disse: “Ci somigliavamo come due gocce d’acqua, ma rilasciavamo riflessi diversi. Probabilmente lui era una prima versione di me, ma concepito in termini assoluti “.
(A.C.)