Le sfide tra rappers, combattute a suon di versi liberi pensati sul momento (freestyle), sono un fenomeno musicale abbastanza recente, portate alla ribalta dal film 8 mile del rapper bianco Eminem. Sebbene, come dicevamo, siano diventati famosi negli ultimi anni, questo tipo di duelli affondano le radici in un periodo ben più remoto, il medioevo.
All’epoca venivano combattute con raffinati componimenti poetici dai toni sarcastici e polemici, che avevano l’obiettivo di mettere in ridicolo gli avversari, dileggiandone i difetti. La disputa, definita tenzone, divenne un vero e proprio genere poetico della letteratura medievale che coinvolgeva due o più sfidanti, impegnati a sostenere le proprie tesi e confutare quelle degli oppositori. La più antica tenzone della quale si abbia prova è quella che vide i provenzali Ugo Catola e Marcabruno negli anni 1134-1136, mentre in Italia la più famosa è senza dubbio quella combattuta a suon di sonetti tra Forese Donati e suo cugino Dante Alighieri.
Nel primo, Dante rinfaccia a Forese (chiamato amichevolmente Bicci) una scarsa prestanza sessuale, tale da lasciare la sua sfortunata moglie (mal fatata) sempre ‘scoperta’ e lo accusa di povertà: la poveretta infatti ha il raffreddore anche in agosto perchè non ha nulla con cui coprirsi, per colpa di un marito più attento ai piaceri della vita che ai doveri coniugali.
Chi udisse tossir la mal fatata
moglie di Bicci vocato Forese,
potrebbe dir ch’ell’ha forse vernata
ove si fa ’l cristallo ’n quel paese.
Di mezzo agosto la truovi infreddata;
or sappi che de’ far d’ogn’altro mese!
E no lle val perché dorma calzata,
merzé del copertoio c’ha cortonese.
La tosse, ’l freddo e l’altra mala voglia
no ll’adovien per omor’ ch’abbia vecchi,
ma per difetto ch’ella sente al nido.
Piange la madre, c’ha più d’una doglia,
dicendo: «Lassa, che per fichi secchi
messa l’avre’ in casa il conte Guido!».
Forese risponde narrando di una strana avventura occorsagli prima del’alba quando, uscito di casa in cerca di fortuna, si ritrovò nei pressi di un cimitero (le fosse) e fu pregato dal fantasma del padre di Dante di scioglierlo da un complicato nodo: un’allusione alle accuse di usura che caddero sull’uomo quand’era ancora in vita.
L’altra notte mi venn’ una gran tosse,
perch’i’ non avea che tener a dosso;
ma incontanente dì [ed i’] fui mosso
per gir a guadagnar ove che fosse.
Udite la fortuna ove m’adusse:
ch’i’ credetti trovar perle in un bosso
e be’ fiorin’ coniati d’oro rosso,
ed i’ trovai Alaghier tra le fosse
legato a nodo ch’i’ non saccio ’l nome,
se fu di Salamon o d’altro saggio.
Allora mi segna’ verso ’l levante:
e que’ mi disse: «Per amor di Dante,
scio’mi»; ed i’ non potti veder come:
tornai a dietro, e compie’ mi’ viaggio.

Paul Gustave Doré, illustrazione per il canto XXIII del Purgatorio in cui Dante incontra Forese dé Donati.
Il secondo sonetto di Dante a Forese si apre con un gioco di parole che riprende il nodo di Salamone di quest’ultimo per schernire i peccati di gola dell’amico (petti delle starne, lonza) e la sua inclinazione ad essere perennemente indebitato. La poesia si chiude con un’accusa ancor peggiore: Dante dà del ladro al Forese e lo avverte di stare attento o finirà in prigione (San Simone).
Ben ti faranno il nodo Salamone,
Bicci novello, e petti delle starne,
ma peggio fia la lonza del castrone,
ché ’l cuoio farà vendetta della carne;
tal che starai più presso a San Simone,
se·ttu non ti procacci de l’andarne:
e ’ntendi che ’l fuggire el mal boccone
sarebbe oramai tardi a ricomprarne.
Ma ben m’ è detto che tu sai un’arte,
che, s’egli è vero, tu ti puoi rifare,
però ch’ell’è di molto gran guadagno;
e fa ssì, a tempo, che tema di carte
non hai, che tti bisogni scioperare;
ma ben ne colse male a’ fi’ di Stagno.
La replica di Forese a Dante è meno velata della precedente e più diretta. L’autore rimanda al mittente l’accusa di povertà consigliandogli di rivestire l’ospizio di San Gal, svestito dalle sue continue richieste di sostegno, prima di dare del povero agli altri e gli chiede come mai, se lo considera tanto povero (se tu ci hai per sì mendichi), si rivolga sempre a lui per avere la carità. Il Forese augura infine all’amico che mai gli vengano a mancare i fratelli Tana e Francesco che lo aiutano a sbarcare il lunario, altrimenti lo ritroveranno all’Ospizio di Porta Pinti seduto con gli altri poveri a mendicare il pranzo (Allo spedale a Pinti ha’ riparare… ed in terzo, Alighier co lla farsata).

Sir Joseph Noel Paton (Scottish, 1821-1900), ‘Dante Meditating the Episode of Francesca da Rimini and Paolo Malatesta’.
Va’ rivesti San Gal prima che dichi
parole o motti d’altrui povertate,
ché troppo n’è venuta gran pietate
in questo verno a tutti suoi amichi.
E anco, se tu ci hai per sì mendichi,
perché pur mandi a nnoi per caritate?
Dal castello Altrafonte ha’ ta’ grembiate,
ch’io saccio ben che tu te ne nutrichi.
Ma ben ti lecerà il lavorare,
se Dio ti salvi la Tana e ’l Francesco,
che col Belluzzo tu non stia in brigata.
Allo spedale a Pinti ha’ riparare;
e già mi par vedere stare a desco,
ed in terzo, Alighier co lla farsata.
Nel suo ultimo sonetto Dante sorvola sulle accuse di povertà mosse alla sua famiglia e attacca l’intera famiglia del Foresi, in cui i mariti fanno compagnia alle loro donne come fossero solo dei cognati. La replica si apre in modo scoppiettante mettendo in dubbio la paternità dello stesso Bicci (figliuol di non so cui) ed insistendo poi sui peccati di gola e l’abitudine al furto dell’amico, tanto che suo padre giace per lui nel letto tristo con il timore che sia colto in flagrante (per tema non sia preso a lo ’mbolare).
Bicci novel, figliuol di non so cui
(s’i’ non ne domandassi monna Tessa),
giù per la gola tanta rob’ hai messa,
ch’a forza ti convien tôrre l’altrui.
E già la gente si guarda da·llui,
chi ha borsa a·llato, là dov’e’ s’appressa,
dicendo: «Questi c’ha la faccia fessa
è piuvico ladron negli atti sui».
E tal giace per lui nel letto tristo,
per tema non sia preso a lo ’mbolare,
che gli apartien quanto Giosep a Cristo.
Di Bicci e de’ fratei posso contare
che, per lo sangue lor, del mal acquisto
sann’ a lor donne buon’ cognati stare.
La tenzone si chiude con la fredda e sarcastica risposta del Foresi che, al contrario, sa benissimo di chi è figlio Dante, di quell’Allaghieri che ancora attende giustizia dalle accuse di usura mentre il figlio, invece di vendicarne l’onore, si è affrettato a far pace con il nemico, introducendo l’abitudine di fraternizzare con chi ci picchia (buon uso ci ha’ recato, ben ti ·l dico, che qual ti carica ben di bastone, colu’ ha’ per fratello e per amico).
Ben so che fosti figliuol d’Allaghieri,
e acorgomene pur a la vendetta
che facesti di lu’ sì bella e netta
de l’aguglin ched e’ cambiò l’altr’ieri.
Se tagliato n’avess’ uno a quartieri,
di pace non dove’ aver tal fretta;
ma tu ha’ poi sì piena la bonetta,
che no lla porterebber duo somieri.
Buon uso ci ha’ recato, ben ti ·l dico,
che qual ti carica ben di bastone,
colu’ ha’ per fratello e per amico.
Il nome ti direi delle persone
che v’hanno posto sù; ma del panico
mi reca, ch’i’ vo’ metter la ragione.
(M.G)